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Diritto doganale – Iva all’importazione e posizione del rappresentante doganale indiretto.

La Corte di Giustizia UE, sez. VI, con la sentenza 12/05/2022, C-714/20 non chiarisce i dubbi in ordine alla responsabilità del rappresentante doganale indiretto.

La Commissione Tributaria provinciale di Venezia ha interpellato la Corte di Giustizia formulando quesiti in merito alla posizione del rappresentante doganale indiretto sostenendo l’assenza di una disposizione interna in materia di IVA che preveda l’individuazione dei soggetti debitori. Infatti a mente dell’art. 201 della Direttiva 2006/112, “All’importazione l’IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione.”.

L’articolo 70 del D.P.R. n. 633/1972 rinvia alla normativa doganale per ciò che riguarda le “controversie e le sanzioni”. L’individuazione dei soggetti obbligati all’assolvimento dell’IVA all’importazione possono venire individuati anche in altre disposizioni normative e ciò in coerenza con la natura dell’IVA all’importazione che presentata delle rilevanti affinità con i dazi, fra cui il fatto generatore, l’esigibilità e le procedure di accertamento gestite dagli stessi uffici dell’Agenzia delle Dogane.

Questi i quesiti: 1) “se l’art. 201 della direttiva … imponga la emissione di una norma statuale in materia di IVA all’importazione … che individui espressamente i soggetti obbligati al relativo versamento.”. 2) se l’art. 77, par. 3 del Codice Doganale dell’Unione “debba interpretarsi nel senso che il rappresentante indiretto sia responsabile non solo dei dazi doganali, bensì pure dell’IVA all’importazione per il fatto solo di essere soggetto “dichiarante alla dogana” in nome proprio.”.

La Corte ha chiarito che il “solo articolo 77, paragrafo 3” del CDU non può costituire l’aggancio normativo per giustificare ai fini IVA la responsabilità solidale del rappresentante doganale indiretto (punto 51) e che “un’eventuale responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione … deve essere stabilita, in modo esplicito e inequivocabile, da[lle] disposizioni nazionali” che recepiscono l’art. 201 della Direttiva (punto 63).

In caso contrario, “non può essere riconosciuta la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione, in solido con l’importatore (…)” (punto 65).

Tuttavia la Corte evidenzia che l’art. 3 del D.Lgs. n. 374/1990 stabilisce che “i diritti doganali”, i “dazi, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione” sono “accertati, liquidati e riscossi … secondo … testo unico … doganale” (D.P.R. n. 43/1973): il quale, a sua volta, prevede che l’IVA all’importazione rientra fra i “diritti doganali” (art. 34) e, inoltre, che al “pagamento dell’imposta doganale sono obbligati il proprietario della merce, a norma dell’art. 56, e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata.” (art. 38).

Pertanto rimanda alla Commissione la valutazione in ordine alla circostanza se l’art. 201 della Direttiva sia stato recepito dalla Stato Italiano con la predetta norma.

La palla è pertanto ripassata al Giudice della Commissione.

Dalla lettura della normativa interna la posizione del fornitore con e quella del rappresentante doganale indiretto. Ebbene sembrano sostanzialmente identiche. Entrambi, oltre a ricevere la lettera di intento che è un documento formato e rilasciato esclusivamente dal cliente, sono obbligati a verificare la trasmissione telematica della medesima lettera.

Nel sistema IVA, il rappresentante – così come il fornitore – è un soggetto estraneo al rapporto autonomo e diretto fra l’ente impositore e il cliente che, si badi ben è l’esclusivo titolare del diritto alla detrazione o al regime di non imponibilità.

Ecco perché, ai fini IVA, la responsabilità del rappresentante indiretto appare, in linea di principio, configurabile in assenza del controllo preventivo dell’invio telematico della dichiarazione di intento, ovvero se l’ente impositore contesti il coinvolgimento del medesimo rappresentante nella condotta fraudolenta del cliente.

Con riferimento a questa ultima ipotesi, è utile osservare che il rappresentante indiretto – in replica agli elementi forniti dall’ente impositore su cui incombe, in prima battuta, l’onere della prova – potrebbe discolparsi fornendo la controprova di aver agito in buona fede in quanto, secondo la formula ripetuta in giurisprudenza, egli “non sapeva e non avrebbe potuto sapere” della dichiarazione mendace di esportatore abituale rilasciata dai proprietari delle merci importate.