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Estorsione in danno dei dipendenti da parte del datore di lavoro che impone condizioni inique e lesive dei diritti del lavoratore minacciando in alternativa l’interruzione del rapporto o condotte ritorsive.

Si evidenzia come la giurisprudenza, in numerose pronunce, abbia indentificato la sussistenza del reato di estorsione in condotte del datore di lavoro volete a costringere il dipendente ad accettare condizioni inique ed ingiuste. Si ricorda infatti che “Commette il delitto di estorsione il direttore di un giornale che minacci implicitamente un’aspirante giornalista pubblicista assunta dal giornale, facendole intendere che non le avrebbe consegnato la documentazione necessaria per l’iscrizione all’Albo, se non avesse restituito in contanti le somme versate per il lavoro svolto e se non avesse pagato le ritenute d’acconto che egli avrebbe dovuto corrispondere in qualità di datore di lavoro, cosi usufruendo delle prestazioni della persona offesa senza corrispondere alcuna retribuzione e sopportare alcun onere, e ravvisandosi il danno nel fatto di avere lavorato senza alcuna retribuzione e nel ritardo dell’iscrizione all’ordine dei giornalisti” (Cass. pen. Sez. II, 12-01-2021, n. 7043) e“Commette il delitto di estorsione, e non di violenza privata, il datore di lavoro che paga al dipendente somme inferiori a quelle risultanti dalle buste paga, e, a fronte della richiesta di pagamento delle differenze retributive e della prospettazione di recarsi dai sindacati per la tutela dei propri diritti, lo minaccia, costringendolo a dare le dimissioni, con conseguente danno consistente nella perdita del posto di lavoro e profitto del datore di lavoro grazie al risparmio dello stipendio. (Nella fattispecie, il datore di lavoro disse al lavoratore che, se fosse andato dai sindacati, gli avrebbe fatto spaccare le gambe)” (Cass. pen. Sez. II, 25-11-2020, n. 2454).

Parimenti  “Commette il delitto di estorsione il datore di lavoro che, al di là di esplicite minacce, costringa più lavoratori all’atto della stipulazione dei contratti di assunzione alla sottoscrizione di lettere di dimissioni in bianco e ad accettare di non ricevere la retribuzione prevista, ponendoli concretamente in uno stato di soggezione ravvisabile nell’alternativa di accedere all’ingiusta richiesta o di subire un più grave pregiudizio quale l’assenza di altre possibilità occupazionali, senza che valga ad escludere il reato un accordo contrattuale tra datore di lavoro e dipendente che preveda l’accettazione da parte di quest’ultimo di una paga inferiore ai minimi retributivi o non parametrata alle effettive ore lavorative, in quanto il lavoratore è interessato ad assicurarsi comunque una possibilità di lavoro, altrimenti esclusa per le generali condizioni ambientali o per le specifiche caratteristiche di un particolare settore di impiego della manodopera” (Cass. pen. Sez. II, 15-09-2020, n. 779).

Anche nel 2019 gli Ermellini confermavano che “Integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una aspettativa di assunzione, costringa l’aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna di un datore di lavoro che, al momento della conclusione del contratto, faceva sottoscrivere al lavoratori moduli di dimissioni “in bianco”, per garantirsi futuri illeciti “adempimenti”, costituiti dalla consegna di quote parti della retribuzione mensile e del trattamento di fine rapporto). (Rigetta, CORTE APPELLO SEZ.DIST. TARANTO, 29/05/2017)” (Cass. pen. Sez. II Sent., 20-02-2019, n. 8477).