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Licenziamento dei dipendenti che hanno raggiunto l’età pensionabile.

La normativa di riferimento è l’art. 4 (Area di non applicazione) della l. 108/1990 (Disciplina dei licenziamenti individuali) a mente del quale “1.  … … 2.  Le disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente legge, e dell’articolo 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, ……”. L’art. 6 del D.L. 791/1981 prevede che chi non ha raggiunto l’anzianità contributiva massima utile può optare di continuare a prestare il proprio lavoro fino al perfezionamento dell’anzianità contributiva massima ma ciò non oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di età prevedendo che “L’esercizio della facoltà … deve essere comunicato al datore di lavoro almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia”.

PERTANTO CHI ABBIA RAGGIUNTO I REQUISITI PER LA PENSIONE DI VECCHIAIA PUÒ ESSERE OGGETTO DI UN LICENZIAMENTO AD NUTUM SENZA MOTIVAZIONI ATTESO CHE L’AVER MATURATO I PREDETTI REQUISITI ATTRIBUISCE AL DATORE DI LAVORO IL POTERE DI FAR CESSARE IMMEDIATAMENTE IL RAPPORTO.

Sul punto recentemente la Suprema  Corte ha chiarito che “il compimento dell’età Pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l’attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia da parte del lavoratore, determinano soltanto il venir meno del regime di stabilità del rapporto (con conseguente recedibilità “ad nutum”) ma non anche l’automatica estinzione dello stesso, che, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, è destinato a proseguire, con diritto del lavoratore alla retribuzione. In particolare, si precisa che, nel caso in cui tali condizioni si perfezionino nel periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quella della sentenza con cui venga accertata l’insussistenza di una sua idonea giustificazione, non è preclusa l’emanazione del provvedimento di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro L. n. 300 del 1970, ex art. 18, mentre il rapporto di lavoro è suscettibile di essere estinto solo per effetto di valido (diverso) negozio di recesso” (Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 24-01-2022, n. 2010). Sempre gli Ermellini hanno precisato che “Il compimento dell’età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per il sorgere del diritto a pensione, determinando solo la recedibilità ad nutum dal rapporto e non già la sua automatica estinzione, non ostano, qualora vengano a verificarsi durante la pendenza del giudizio di impugnazione del licenziamento, all’emanazione del provvedimento di reintegra del lavoratore e alla condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno ex art. 18 Stat. lav. nella misura corrispondente alle retribuzioni riferibili al periodo compreso fra la data del recesso e quella della reintegrazione, non giustificandosi per contro, al fine della liquidazione del danno subito dal lavoratore, alcun giudizio prognostico circa il termine nel quale, in relazione al raggiungimento della detta età pensionabile, il rapporto si sarebbe comunque interrotto, anche in assenza dell’illegittimo recesso” (Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 21-10-2021, n. 29365).

La distinzione tra la pensione di vecchia e quella anticipata si rende necessaria alla luce dell’orientamento della Suprema Corte secondo cui ”nei confronti della lavoratrice in età pensionabile ed in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità [oggi pensione anticipata] non è consentito, da parte del datore di lavoro, il recesso “ad nutum”, posto che solamente la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia incide sul regime del rapporto di lavoro, come desumibile dall’art. 4, comma 2, della l. n. 109 del 1990, norma insuscettibile di applicazione analogica, che, nell’escludere la tutela reale per i licenziamenti illegittimi nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni aventi i requisiti pensionistici, fa riferimento ai presupposti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (e non di anzianità), solo al verificarsi dei quali il lavoratore ha l’onere di impedire la cessazione del regime di stabilità, entro un certo termine decadenziale, esercitando l’opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro. (Rigetta, CORTE D’APPELLO NAPOLI, 15/06/2015)” (Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 10-01-2019, n. 435).

L’art. 24, 4 comma, D.L. n. 201/2011, convertito in L. n. 214/2011 prevede che “per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (di seguito AGO) e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la pensione di vecchiaia si può conseguire all’età in cui operano i requisiti minimi previsti dai successivi commi. Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, ……… Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità”. Si potrebbe ritenere che la disposizione in esame individui un meccanismo compensativo tale per cui l’innalzamento dell’età pensionabile per l’accesso al trattamento di vecchiaia dovrebbe essere bilanciato da un ripristino delle tutele di cui all’art. 18 St. lav., quantomeno transitorio e coincidente con il “limite massimo di flessibilità”, ivi identificato nel compimento del settantesimo anno di età.  Un tale interpretazione tuttavia, non sembra superare il vaglio dei successivi arresti della giurisprudenza di legittimità.  In particolare si esclude che detta disposizione accordi al lavoratore un diritto potestativo alla prosecuzione del rapporto, con le garanzie di cui all’art. 18 dello statuto dei lavoratori. Per potersi dar luogo alla ultrattività delle tutele di cui all’art. 18 St. lav., anche a seguito della maturazione del diritto a pensione di vecchiaia in capo al lavoratore, non è sufficiente una opzione da parte di quest’ultimo, ma è piuttosto necessaria una concorde volontà di prosecuzione del rapporto di lavoro manifestata da entrambe le parti.