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Omissione contributiva – Diritto autonomo del lavoratore a far accertare l’omissione a tutela della posizione contributiva.

La Suprema Corte ha chiarito che “Il lavoratore, a tutela del proprio diritto all’integrità della posizione contributiva, ha sempre l’interesse ad agire, sul piano contrattuale, nei confronti del datore di lavoro, per l’accertamento della debenza dei contributi omessi in conseguenza dell’effettivo lavoro svolto, prima ancora della produzione di qualsivoglia danno sul piano della prestazione previdenziale e senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti dell’INPS.” (Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 02/05/2024, n. 11730).

Spiegano gli Ermellini che “… a fronte di una “irregolarità contributiva”, il lavoratore ha la possibilità, prima del raggiungimento dell’età pensionabile, di “esperire un’azione di condanna generica al risarcimento del danno ex art.2116 c.c. oppure un’azione di mero accertamento dell’omissione contributiva quale comportamento potenzialmente dannoso” e chela legittimazione processuale ad agire per l’accertamento dell’obbligo contributivo va ritenuta non alternativa a quella dell’ente previdenziale, ma autonoma rispetto ad essa, in considerazione dell’attualità del pregiudizio che per il mancato incremento dell’anzianità contributiva utile a pensione si determina direttamente nella sfera giuridica del lavoratore”.

Nella medesima sentenza si chiarisce altresì che “ … per giurisprudenza costante il lavoratore non può agire invece per la condanna al pagamento della contribuzione, il cui diritto di credito è attribuito esclusivamente in capo all’ente previdenziale  non prevedendo la legge alcuna forma di sostituzione processuale, come sarebbe invece necessario ai sensi dell’art. 81 c.p.c. il quale recita che “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. (Cass. n. 6722 del 10/03/2021)”.

Infatti quando viene richiesto il pagamento dei contributi è litisconsorte necessario anche l’ente previdenziale che deve essere chiamato in giudizio essendo lui il titolare del diritto al pagamento. Tuttavia il lavoratore può agire invece autonomamente per far accertare soltanto la debenza dei contributi previdenziali salva poi la facoltà di esperire, al momento del prodursi dell’evento dannoso, la diversa azione risarcitoria ex art. 2116, comma 2, c.c..

Tuttavia quando “ … chieda la condanna del datore al pagamento dei contributi, il lavoratore sia tenuto ad integrare il contraddittorio nei confronti dell’INPS, la cui violazione è rilevabile anche d’ufficio in cassazione e con effetto di annullamento del processo e rimessione del giudizio in primo grado. Ma in senso contrario si è posta la successiva Cass. n. 20697/2022 la quale invece – stante il sempre affermato difetto di legittimazione attiva originario – ha concluso tuttavia per l’annullamento in parte qua della sentenza che su domanda del lavoratore aveva condannato il datore a pagare i contributi all’Inps, senza pronunciare perciò alcun annullamento in toto della sentenza di merito e senza, in particolare, disporre l’integrazione del contraddittorio fin dal primo grado”.